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I “Diodi Di Bypass” Nel Fotovoltaico: A Cosa Servono
Nel cuore di ogni impianto fotovoltaico vi è una verità tanto semplice quanto cruciale: la corrente elettrica in un circuito in serie passa uniformemente attraverso tutti i componenti. Questo principio implica che se anche una sola cella fotovoltaica presenta una riduzione significativa di corrente – ad esempio per ombreggiamento parziale – l’intera stringa in cui essa è inserita può subire un drastico calo di prestazione. È in questo contesto che entrano in gioco i diodi di bypass, dispositivi fondamentali ma spesso poco considerati, che garantiscono la continuità operativa e la sicurezza elettrica degli impianti.
Questi diodi vengono collegati in antiparallelo rispetto alle celle o ai gruppi di celle e permettono, in caso di malfunzionamento o ombreggiamento localizzato, di escludere automaticamente la parte problematica del modulo, consentendo comunque alla corrente generata dalle altre celle di proseguire il suo cammino. In sostanza, il diodo di bypass crea un percorso alternativo per la corrente, evitando che l’intero modulo (o peggio l’intera stringa) diventi un collo di bottiglia nella produzione.
Un secondo e non meno importante ruolo è quello di evitare la formazione di “hot spot”, ovvero punti caldi sulle celle parzialmente ombreggiate o danneggiate. Quando una cella si trova a dover subire una corrente inversa, essa non la genera ma la dissipa sotto forma di calore, portando a temperature anomale che possono danneggiare irreversibilmente il modulo. Il diodo di bypass previene proprio questo fenomeno.
Oggi è impensabile realizzare un modulo fotovoltaico di qualità senza l’integrazione di questi componenti, che rappresentano una vera garanzia contro i difetti localizzati, le ombre accidentali e l’usura naturale che col tempo può ridurre l’efficienza di una parte del modulo.
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I Diodi Di Bypass Nei Singoli Moduli Fotovoltaici
Un modulo fotovoltaico è composto, generalmente, da 60 o 72 celle collegate in serie, che rappresentano il punto critico dell’intero sistema: una resistenza elevata o un blocco in una sola cella può ostacolare tutto il flusso di corrente. Per questa ragione, ogni modulo è equipaggiato con più diodi di bypass, ciascuno responsabile di una porzione definita di celle.
Idealmente si potrebbe pensare a un diodo per ogni cella, ma per questioni di costo, di spazio fisico e di efficienza costruttiva, si adotta una configurazione che prevede un diodo ogni 12-24 celle. In un tipico pannello da 60 celle, si trovano quindi tre diodi di bypass, che operano ognuno su un terzo del modulo.
I diodi vengono posizionati in antiparallelo, ovvero con polarità opposta rispetto a quella delle celle. In condizioni di funzionamento normali, non intervengono: la loro caduta di tensione inversa li mantiene come un circuito aperto. Quando però una o più celle collegate a un diodo si trovano in condizione di ombreggiamento o blocco, il diodo si polarizza direttamente e lascia fluire la corrente al suo interno, bypassando la sezione danneggiata.
Dal punto di vista elettrico, il comportamento è chiaro: la tensione ai capi della sezione ombreggiata diventa negativa, attivando il diodo che consente la conduzione. La caduta di tensione tipica attraverso il diodo si aggira intorno a 0,6-0,7 V, a seconda della tecnologia. Questo comporta una leggera perdita di potenza, ma consente di evitare una perdita molto più grande che si avrebbe in assenza del diodo.
È importante notare che anche se il diodo di bypass è una misura efficace, non è un rimedio assoluto: se un modulo è parzialmente o totalmente ombreggiato, la sua produzione sarà comunque ridotta. Tuttavia, grazie all’intervento del diodo, si limita il danno al solo modulo o alla parte di esso direttamente interessata.
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I Diodi Di Bypass E Di Blocco Nelle Stringhe Di Pannelli
In un impianto fotovoltaico di dimensioni rilevanti, i moduli non sono semplicemente collegati in serie, ma formano stringhe che a loro volta vengono collegate in parallelo per formare sottocampi o campi fotovoltaici. Questo schema aumenta la potenza disponibile, ma introduce nuove complessità elettriche, in particolare relative al flusso di corrente tra le stringhe.
In una stringa con più moduli in serie, ciascun modulo – come detto – ha i propri diodi di bypass. Tuttavia, se un intero modulo risulta guasto o ombreggiato, anche con i suoi diodi di bypass attivi, la stringa subirà una perdita di tensione pari a quella del modulo escluso. Se accade su più moduli, il problema si amplifica, e la produzione complessiva può essere significativamente ridotta.
Quando poi più stringhe sono collegate in parallelo, entra in gioco un altro tipo di protezione: il diodo di blocco. Questo diodo viene inserito a monte della stringa e ha lo scopo di impedire il ritorno di corrente da una stringa attiva a una stringa ombreggiata. In assenza di questo dispositivo, le stringhe in pieno sole potrebbero “iniettare” corrente in quelle parzialmente ombreggiate, generando circolazioni inverse non desiderate, sovraccarichi o addirittura danni permanenti ai moduli.
I diodi di blocco funzionano in modo molto simile ai diodi di bypass, ma agiscono su scala di stringa, e non a livello di singolo modulo. La scelta di inserirli dipende da diversi fattori:
- Presenza di ombreggiamenti differenziali tra le stringhe;
- Impianti con orientamenti multipli (es. Est-Ovest);
- Assenza di dispositivi elettronici intelligenti come gli ottimizzatori di potenza o i microinverter, che di per sé risolvono il problema della disomogeneità tra stringhe.
Negli impianti moderni, l’utilizzo di inverter di stringa multi-MPPT o di dispositivi “smart” può ridurre la necessità dei diodi di blocco, ma non li elimina completamente. In condizioni sfavorevoli, il loro impiego rappresenta una garanzia di protezione a basso costo.
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Il Problema Degli Ombreggiamenti
Tra i nemici più subdoli dell’efficienza fotovoltaica c’è senza dubbio l’ombreggiamento, fenomeno spesso sottovalutato ma in grado di compromettere in modo drastico la produzione. Un’ombra proiettata su una sola cella, anche se piccola, può ridurre la produzione dell’intero modulo, o peggio, di tutta la stringa.
Il motivo è insito nel funzionamento stesso delle celle: in una configurazione in serie, ogni cella deve trasportare l’intera corrente della stringa. Se una cella produce meno, per esempio perché parzialmente in ombra, diventa un collo di bottiglia e impone la stessa limitazione a tutte le altre. La tensione ai capi della cella ombreggiata si inverte, si genera una corrente inversa, e senza protezioni si può verificare un hot spot.
A seconda della tecnologia utilizzata, i moduli reagiscono in modo diverso:
- I pannelli monocristallini e policristallini, a causa della struttura in serie delle celle, sono molto sensibili: anche un’ombra parziale può portare a perdite importanti;
- I pannelli a film sottile, invece, essendo costruiti con architetture diverse, sopportano meglio le ombre parziali, ma hanno comunque dei limiti.
Non si tratta solo di ombre statiche (alberi, camini, edifici vicini), ma anche di ombre mobili, come quelle causate da antenne, pali, recinzioni o altri pannelli installati su inseguitori solari. Una delle pratiche fondamentali in fase progettuale è quindi l’analisi delle ombre nel corso della giornata e dell’anno, con strumenti software o simulazioni fisiche, per evitare sovrapposizioni tra le varie file.
I diodi di bypass aiutano a mitigare gli effetti delle ombre, ma non li eliminano: prevenire l’ombreggiamento resta sempre la miglior strategia.
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Il “Fattore Di Riempimento” E Lo Spazio Fra I Moduli
Il posizionamento dei pannelli sul terreno non è solo una questione di estetica o praticità: coinvolge direttamente un concetto fondamentale in progettazione fotovoltaica, noto come fattore di riempimento o “fill factor” del suolo. Questo valore indica la percentuale di superficie occupata dai moduli rispetto alla superficie totale disponibile, e ha una stretta relazione con il rendimento energetico complessivo dell’impianto.
Se i pannelli vengono installati troppo vicini, specialmente su file inclinate verso Sud, si rischia che le file anteriori facciano ombra su quelle posteriori durante le ore mattutine o pomeridiane. L’impatto può essere devastante: un ombreggiamento reciproco può ridurre la produzione fino al 95% in alcune condizioni.
Per evitare ciò, i progettisti adottano un approccio geometrico: calcolano la distanza minima tra le file in base alla latitudine del sito e all’altezza del pannello inclinato. Per l’Italia, dove la latitudine media oscilla tra 36° e 47°, è generalmente raccomandato un rapporto s/h (distanza su altezza) di almeno 1,6. Questo significa che se un pannello ha un’altezza verticale di 1 m, la distanza minima tra due file deve essere di almeno 1,6 m.
Da questo deriva che, per evitare ombreggiamenti significativi:
- Se un pannello ha lunghezza inclinata di 1,6 m e base orizzontale di 1,1 m, il fattore di riempimento ideale sarà intorno al 45%. Il resto dello spazio è necessario per garantire luce solare costante e quindi massimizzare la produzione annua.
Questo valore può sembrare basso, ma il compromesso tra densità dei moduli e perdite da ombra è fondamentale per mantenere alta la produttività specifica. Nei grandi impianti utility-scale, l’ottimizzazione di questo parametro può fare la differenza tra un impianto redditizio e uno sottoperformante.
Conclusione: Un Piccolo Componente, Un’enorme Differenza
Il ruolo dei diodi di bypass e dei diodi di blocco in un impianto fotovoltaico può sembrare secondario, ma in realtà è fondamentale per garantirne la sicurezza, l’efficienza e la durabilità. Senza di essi, le normali imperfezioni di esercizio – come l’ombreggiamento parziale, un modulo difettoso o una differenza di orientamento – potrebbero compromettere l’intera produzione energetica.
Questi componenti, benché di dimensioni ridotte e relativamente economici, devono essere correttamente progettati e integrati sia a livello di modulo sia a livello di impianto. In un mondo in cui il fotovoltaico è destinato a giocare un ruolo sempre più centrale nella transizione energetica, conoscere a fondo il funzionamento dei diodi di bypass e di blocco permette di costruire impianti più resilienti, sicuri e produttivi.